Oggetti e rimedi curiosi dell’Antica Arte Sanitaria:
Il Corno di Liocorno

Simbolo antico di castità e purezza, il liocorno viene descritto nei bestiari del Medioevo come un animale con il corpo di un cavallo che aveva un lungo corno affusolato sulla fronte, barba di caprone, coda leonina, zoccoli bovini e zampe pelose. Fin dall’antichità, al suo corno sono state attribuite qualità curative eccezionali, in grado di contrastare qualsiasi malattia.
Secondo le leggende, il liocorno era un animale feroce, ma diventava inspiegabilmente mansueto verso le ragazze vergini. E proprio quando si rannicchiava sulle gambe delle giovani fanciulle, i cacciatori facevano in modo di tagliare il suo prezioso corno dalle eccezionali proprietà medicinali. Il commercio di corni nel Medioevo era molto diffuso e pare che questo oggetto fosse molto ricercato dalle casate nobili per preservare le sorti della discendenza in caso di gravi malattie.
Le tesorerie di San Marco a Venezia, del Duomo di Milano e della eclettica corte dei Medici a Firenze, noti esperti nell’uso di veleni, ne conservavano almeno un esemplare. Il corno è citato in molti trattati medici del XVI secolo come rimedio efficace contro qualsiasi veleno, ma anche per contrastare l’ubriachezza, le convulsioni durante gli episodi febbrili della peste e l’epilessia.
Il liocorno è veramente esistito o è solo una leggenda?
Il medico greco Ctesia parla di un animale selvatico visto in India nel 416 a.C. quando era in visita presso la corte persiana. Lo descrive come un grande cavallo dal manto bianco, con la testa di un colore rosso scuro e occhi blu, con il caratteristico corno sulla fronte lungo circa 45 centimetri, bianco alla base, nero nella parte mediana e cremisi sulla punta.
Si ritiene che l’unicorno descritto da Ctesia sia una combinazione dell’asino selvatico indiano, del rinoceronte e dell’antilope tibetana, che ha lunghe corna diritte. Probabilmente, il medico greco, vedendo di fianco l’animale, non ha visto entrambi i corni. Secondo le leggende, i nobili indiani bevevano in bicchieri dipinti a strisce realizzati con il corno del mitico animale, ma in realtà si trattava del corno di un rinoceronte.
Nel I secolo d.C., Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, parla invece di un monoceros che aveva un unico lungo corno nero e che non poteva essere catturato vivo. L’unicorno, re’em nella Bibbia, era probabilmente il bue selvatico europeo, o uro, una specie a due corna, ora estinta.
Nei testi medioevali si tratta più della simbologia e dei poteri dell’unicorno che del suo aspetto. Ma ormai abbiamo conferma che i corni rinvenuti nelle tesorerie e che venivano largamente commercializzati fino al XVIII secolo erano in realtà i denti del narvalo, un cetaceo che vive ancora oggi nelle acque delle regioni artiche. In alcuni casi invece, si trattava di zanne di tricheco.
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