Se scrivo in grassetto, mi leggi di più?

Si sa, scrivere non è mai semplice e scrivere sul web è ancora più complesso.
La nostra soglia di attenzione è fissata a 8 secondi, tempo assolutamente sufficiente per abbattere circa 90 alberi della foresta amazzonica, ma non altrettanto adeguato da permetterci di restare concentrati. Tutta colpa della sindrome del pesce rosso, della overdose continua di informazioni a cui l’era digitale ci ha abituati e che inevitabilmente scavalca il reale fabbisogno di dati di cui necessitiamo.
Nel marasma comunicativo a cui si è approdati con la diffusione di internet, la necessità di filtrare e purificare l’informazione è diventata una prerogativa. Ma Jakob Nielsen, ricercatore danese ed esperto di web usability, ha già ampiamente dimostrato quanto sia un’ardua impresa catturare l’attenzione degli utenti che (non) leggono i contenuti in rete e che adottano un atteggiamento sempre più prevedibile durante la navigazione, semplicemente scansionando le informazioni. Grazie alla mappa di calore utilizzata nel test di ricerca di Nielsen nel 2006, è stato possibile osservare come lo sguardo degli utenti tenda a soffermarsi su alcuni punti focali della pagina web in maniera standardizzata, pur avendo sotto il naso contenuti ed esperienze di natura diversa. I movimenti dell’occhio sembrano ricalcare una “F” sullo schermo, “F” di “Fast”, come suggerito da Nielsen stesso, che insiste su tale inclinazione all’indigestione cognitiva nella User Experience.

Ma allora, come si catturano
i pesci rossi?
È tutta una questione
di esche giuste.
Ancor prima di Nielsen, le premesse dell’eye tracking sono state elaborate da due scienziati, David Noton e Lawrence Stark, che hanno illustrato in un articolo pubblicato sulla rivista Science nel 1971 l’esito dell’analisi sui meccanismi visivi dell’occhio, sulla modalità di scansione dell’immagine e sulla conseguente creazione di veri e propri percorsi che il movimento oculare tracciava. Secondo la teoria dello scanpath, che nasce proprio dall’osservazione diretta dell’occhio, lo sguardo umano compie movimenti e registra punti di maggiore interesse, disegnando di fatto un tracciato che fornisce la chiave per comprendere il processo attraverso il quale il cervello dell’osservatore riconosce un oggetto.
Gli occhi di una persona sono la porta d’accesso al suo mondo interiore e ai modi attraverso cui raccoglie ed elabora gli stimoli esterni. La rappresentazione interna, anche definita come memoria dell’oggetto, si costituisce di un mosaico di parti diverse che vengono rielaborate e ricostruite mediante un’operazione di montaggio delle parti più significative.
Se pensiamo che le conclusioni dell’eye tracking rivelano che un testo sullo schermo si legge più lentamente del 25% rispetto al cartaceo, è apprezzabile che il percorso che lo sguardo umano disegna durante la scrematura delle informazioni sia in qualche modo guidato.
Ma quali sono gli espedienti più utili affinché il messaggio venga assimilato?
È necessario partire da una nozione fondamentale: si scrive per le persone e, per tale ragione, lo stile comunicativo deve necessariamente essere diretto. Si racconta una storia, i contenuti devono essere costruiti con entusiasmo e partecipazione, devono parlare alla gente per poter essere considerati di valore. Naturalezza e credibilità sono gli imperativi della scrittura nell’era digitale, testi brevi ed efficaci che non siano sovraccarichi di contenuti, ma che abbiano il giusto apporto calorico nella dieta informativa degli utenti, con un pizzico di emozione e di freschezza. L’uso parsimonioso di termini pertinenti è più che mai di vitale importanza affinché il messaggio penetri senza ambiguità, allo scopo di attrarre la curiosità di chi vi si accosta.
Come non menzionare il potere del visual e dell’architettura visiva della pagina, perché anche l’occhio vuole la sua parte. Parafrasando poi i presupposti dello scanpath, l’uso di elenchi puntati, porzioni di testo in corsivo e/o in grassetto creano una mappa visiva che mantiene alti i livelli di attenzione. Senza esagerare, sia chiaro.
Essere forzatamente anticonformisti o cercare di essere originali anche a costo di sacrificare lo spessore dei contenuti è un approccio rischioso ai fini dell’indicizzazione. D’altra parte, il fantasma dell’ottimizzazione sui motori di ricerca non deve essere motivo di tormento. Comunicare un contenuto coincide con comunicare sé stessi e avere obiettivi onesti e realistici è il modo più naturale per veicolare un messaggio di qualità.
Sì, magari se scrivo in grassetto o se URLO (mi hai sentito?), attiro la tua attenzione per qualche secondo.
Ma se dico qualcosa di sensato, forse mi leggi di più.
“La creatività”, come dice Henri Poincaré, “è la capacità di connettere elementi che già esistono in un modo nuovo ed utile”. In questa ottica, essere creativi significa avere la capacità di essere inedito e rilevante, questa è l’equazione vincente.
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